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di Mario Finzi
Presidente Consumers’ Forum

Il 17 novembre scorso Consumers’ Forum ha rinnovato il proprio tradizionale incontro con i Presidenti di tutte le Autorità di regolazione presentando una ricerca, commissionata all’Università Roma Tre,  sulla evoluzione della Sharing economy in Social economy, un tema che attraversa trasversalmente le competenze di tutti i soggetti regolatori e la  stessa responsabilità dei legislatori nazionali ed europei.

Cosa cambia in questo passaggio evolutivo? La Sharing Economy definisce esperienze di collaborazione e  condivisione tra cittadini consumatori di beni e servizi organizzata dal basso,  una condivisione “ tra pari”, per trarne un vantaggio economico in termini, per lo più, di minore spesa. Esperienze del genere esistono da sempre ma la crisi le ha rese più necessarie, più attrattive, più evidenti e più note a tutti. Internet le ha rese più efficienti. La  condivisione, infatti, cambia il proprio volto grazie alla digitalizzazione:  una esperienza tra pari, viene amplificata attraverso i social network. L’utenza si allarga parecchio: partiva tra conoscenti, nel posto di lavoro, nel condominio, nella scuola, nel comune.  Ma siamo ancora nella Sharing Economy.

A questo punto il fenomeno si struttura nelle piattaforme digitali di condivisione peer  to peer,  che fanno incontrare domanda e offerta in modo professionale ma ancora apparentemente gratuito. Qual è l’interesse di queste piattaforme nel  facilitare l’incontro? Assistiamo, accanto, ad un allargamento planetario del mercato favorito dalla digitalizzazione, ad una nuova moneta di scambio:  servizi apparentemente gratuiti o comunque meno costosi sono offerti  in cambio di porzioni di privacy e di rinuncia ad alcune tutele . Eccoci atterrati nella Social Economy.

Il fenomeno, con la sua espansione repentina, negli ultimi 3-4 anni rivoluziona quasi tutti i mercati coinvolgendo in vario modo sia i consumatori  e che le imprese tradizionali. 

Accade che non poche regole e  leggi vigenti.  che rendono ordinati e competitivi i diversi mercati sono travolte dalla rapidità di questi mutamenti.

Si pongono allora alcune scelte e ri-equilibri difficili per il legislatore e per i regolatori che sentono di dover  intervenire.

 Il primo tema è di come non  soffocare le nuove economie e contemporaneamente non lasciare indifese le categorie regolate e quelle protette.

 In proposito, le Linee guida della “Agenda europea per l’economia collaborativa” del giugno scorso, invitano i singoli Stati membri ad assecondare l’innovazione eliminando alcune incertezze normative che ne ostacolano lo sviluppo e invocano una soft regulation che chiarisca i nuovi schemi in cui sono coinvolti i soggetti della economia collaborativa: prestatori di servizi – consumatore/utente- intermediari. 

Dunque, SE si decide di intervenire, c’è il tema di quale sia il livello di incertezza superato il quale servono  nuove regole; c’è poi da individuare un QUANDO e, subito dopo, un QUANTO incidere. E infine, ed è la parte più difficile, c’è un COME imporre dei vincoli ad una economia sfuggente, in continuo divenire, i cui soggetti talvolta  non hanno  sedi fisiche e giuridiche riconoscibili o operano in sistemi  giuridici che non  riconoscono i poteri del  nostro regolatore. Le intese internazionali tra legislatori e regolatori sono indispensabili e non a caso si intensificano.

Fino ad oggi la social economy si è sviluppata soprattutto nei servizi mentre appare più lenta ad affrontare il mercato dei beni di consumo. E quando si spinge, con veri e propri giganti economici, nell’e-commerce lo fa evitando alcuni settori più complessi dal punto di vista logistico. Sicuramente nel settore del food non si vedono significative realtà che si sentano in grado di competere con la grande distribuzione tradizionale nel settore del fresco agroalimentare, nelle carni e dell’ittico. Nella sharing economy abbiamo visto nascere alcune esperienze di gruppi di acquisto autorganizzati ma il loro sviluppo appare limitato e circoscritto localmente.  Tuttavia è giusto riflettere su possibili scenari futuri. E anche in questo settore è giusto iniziare subito una riconsiderazione della adeguatezza delle attuali normative nazionali, locali ed europee su cui si basa la sicurezza alimentare, la responsabilità del venditore rispetto al consumatore e le possibili tutele quando nel tradizionale paradigma del rapporto consumatore-professionista, su cui è basato, ad esempio, il Codice del consumo, interviene un terzo, la piattaforma digitale, che non è un semplice intermediario ma ha caratteristiche giuridiche impalpabili e nazionalità imprevedibili e opache che rendono difficile imporre vincoli comportamentali e garanzie.

E questo indebolisce anche lo svolgersi di politiche pubbliche che consideriamo ormai  consolidate e su cui si basa la qualità di alcuni business e la serenità di acquisto del consumatore. Pensiamo alla lotta contro la contraffazione e le sofisticazioni alimentari, alle norme sulla etichettatura dei prodotti, sulla provenienza geografica dei prodotti, alla loro scadenza, alla conoscenza delle filiere della distribuzione, alle certificazioni di processo e di prodotto, etc.

Dunque sia per i consumatori che per le imprese che si occupano di distribuzione si aprono scenari nuovi e tutti da indagare. Sicuramente sono da cogliere alcune importanti opportunità che si presentano a tutti i soggetti della filiera, dal produttore , al distributore, al consumatore.

Ma qualche nuovo intervento normativo e regolatorio, a tutti i livelli, ma soprattutto a livello internazionale, appare essenziale per riequilibrare mercati in cui la  “partita” della competitività (e delle tutele del consumatore ) si gioca  spesso contro avversari del tutto nuovi, quasi sempre in trasferta, in cui l’arbitro non si sa chi sia né che regole applichi e il campo non ha le linee del fallo laterale e di fondo.

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