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Valter Vannucci
Direttore CAAR Rimini

Anche se il futuro del dlgs 175/2016 resta incerto, occorre comprendere che il legislatore ha inteso introdurre una novità: la possibilità per il Socio pubblico di recedere dalla partecipata. Il socio pubblico (Regione, Provincia, Comune) può intraprendere la strada per uscire dalla compagine sociale, se la partecipata non rientra nei fini istituzionali dell’Ente.  

La cosa grave è che il Socio ha un anno di tempo per “vendere” le proprie azioni dopodiche - se non sarà riuscito a trovane nessuno che gliele acquista -  potrà rivolgersi alla Società e chiedere di essere liquidato. 
Nel mondo del diritto non si trova un caso simile a questo. Non perché non manca fantasia al legislatore ma semplicemente perché l’ordinamento (almeno sino alla legge Madia) intendeva tutelare : 

- l’accordo che ha costituito in forma di società la volontà di diversi soggetti, riconoscendo un valore anche sociale all’impresa che era nata tra chi aveva ritenuto necessario legarsi con un vincolo contrattuale per uno scopo comune;

- gli altri soci (quelli che intendono continuare l’attività) perché fino ad ora il socio che intende andarsene (cosa di per sè più che legittima)  prima si rivolgerà agli atri soci chiedendo se sono interessati ad acquisire le proprie azioni, poi se questi non ne vogliono sapere, potrà trovare un terzo che però deve risultare “gradito” agli altri soci. In caso contrario il socio “resta” – anche se a malincuore - ma almeno è salvo il patto sociale (e soprattutto l’impresa e la sua continuità aziendale). 

La Legge Madia permette invece ad un socio di potersene andare con tutte le conseguenze che  si possono facilmente immaginare. La società dovrà disporre di denaro per liquidare il socio. Giusto per fare un esempio se la Regione Emilia Romagna decide di uscire dal CAAR . . . tra un anno pretenderà un rimborso di circa 1 milione e 300 mila euro. Due conseguenze: 

1) forse il CAAR dovrà essere posto in liquidazione; 

2) forse gli altri soci non saranno molto contenti visto che anche il patrimonio netto sarà in qualche modo compromesso. 

Il commissario straordinario Cottarelli non era riuscito ad abbattere tutte le 10.000 società pubbliche e partecipate che – va ricordato - rappresentano uno dei mali di questa povera Italia, in quanto “il pubblico” è fonte di indebitamento, malagestione, corruzione, ecc. ecc. Cosa peraltro fondata, ma come al solito perché fare di tutta l’erba un fascio? Perché nessuno è in grado di giudicare come stanno le cose per il bene comune, distinguere tra il buono e il cattivo, assumersi responsabilità e prendere decisioni. E allora cosa si fa? Una bella legge che certamente non azzera il sistema come avrebbe voluto Cottarelli, ma continua a creare problemi alle società, a metter bastoni tra le ruote a chi deve gestirle, ad appesantire enormemente i bilanci e gli amministratori pubblici di adempimenti, controlli, e carichi di ogni genere. Anziche semplificare, tutto lo sforzo del Governo è improntato a complicare, accelerando un processo che introduce meccanismi di “garanzia” tanto cari all’opinione pubblica per e vitare che i “ladri” del pubblico facciano altri danni: trasparenza, L. 231, anticorruzione L. 190, divieto di finanziare le società in perdita, spending review, legge sugli appalti, reverse charge, obbligo di ridurre le spese del personale, introduzione di regolamenti per l’assunzione del personale dipendente, regolamenti per il conferimento incarichi professionali, regolamento per gli appalti, rotazione dei fornitori (non c’è cosa più assurda ed antieconomica che dover cambiare un fornitore quando questo va bene . . .) ecc. ecc.  

In sintesi: se non sono riusciti ad azzerare il sistema . . . almeno ci prospettano una lenta agonia . . .

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