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Avv. Giovanni Francesco Fidone, amministrativista e giuspubblicista

Una delle tematiche che più tocca, da vicino, l’attività di commercio all’ingrosso dei prodotti ortofrutticoli, è quello della implementazione dei sistemi di tracciabilità e rintracciabilità, conformemente ai requisiti di legge vigenti.
Sia i soggetti gestori di mercati agro-alimentari, nell’ambito delle prerogative riconosciute dalla legge, che i singoli operatori, si trovano oggi a convivere con una disciplina “alluvionale” alquanto complessa; una disciplina nella quale non mancano interpretazioni contrastanti che creano importanti dubbi applicativi, spesso tradottisi in una eterogeneità delle sanzioni emesse dalle diverse Autorità preposte ai dovuti controlli.

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Ebbene, in materia di rintracciabilità dei prodotti ortofrutticoli, il referente normativo principale è rappresentato dal Regolamento CE n. 178 del 2002.
Tale Regolamento comunitario è obbligatorio in tutti i suoi elementi e direttamente applicabile in ciascuno degli Stati membri, costituendo la “base” legislativa in materia di sicurezza degli alimenti.
Un principio fondamentale introdotto dal Regolamento CE n. 178 del 2002 è rappresentato dall’obbligo di garantire la rintracciabilità degli alimenti e dei prodotti destinati all’uomo, a partire dalla produzione primaria fino alla commercializzazione del prodotto.
La disciplina sulla rintracciabilità, prevista dal Regolamento comunitario in esame, è, tuttavia, caratterizzata da un “vuoto informativo”, in quanto non viene specificato con esattezza ciò che è necessario per la fornitura o per un lotto di prodotto.
In particolare, l’art. 18, comma 1, del Regolamento CE n. 178/2002, in merito alla rintracciabilità, stabilisce in maniera molto generica che: “È disposta in tutte le fasi della produzione, della trasformazione e della distribuzione la rintracciabilità degli alimenti, dei mangimi, degli animali destinati alla produzione alimentare e di qualsiasi altra sostanza destinata o atta a entrare a far parte di un alimento o di un mangime”.
Per quel che è di interesse, il comma 2 del medesimo articolo afferma testualmente che: “Gli operatori del settore alimentare e dei mangimi devono essere in grado di individuare chi abbia fornito loro un alimento, un mangime, un animale destinato alla produzione alimentare o qualsiasi sostanza destinata o atta ad entrare a far parte di un alimento o di un mangime. A tal fine detti operatori devono disporre di sistemi e di procedure che consentano di mettere a disposizione delle autorità competenti, che le richiedano, le informazioni al riguardo”.

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Ortomercato di Vittoria

Quindi, il secondo comma stabilisce un obbligo, a carico di tutti i soggetti che operano nel settore della filiera alimentare, di essere in grado di individuare i propri fornitori di materie prime.
Difatti, all’operatore non viene richiesto di risalire all’origine della produzione primaria, ma semplicemente di individuare il soggetto che gli ha fornito il prodotto alimentare.
In buona sostanza, dal Regolamento CE n. 178/2002 emerge il principio della c.d. “arbitrarietà del mezzo”, giacché la disciplina sulla rintracciabilità non fornisce specifiche istruzioni relativamente alle modalità operative per registrare le informazioni, lasciando a ciascun operatore del settore alimentare la libertà di applicare lo strumento più idoneo alla realtà aziendale, purché lo strumento utilizzato sia chiaramente in grado di soddisfare gli obblighi previsti dal Regolamento stesso.
Tali obblighi, lo si ribadisce, implicano l’individuazione certa ed esatta del soggetto che ha fornito il prodotto e del soggetto al quale è stato fornito.
Non prescrivendo, il regolamento de quo, l’adozione di mezzi specificamente individuati, al fine di consentire agli operatori del settore il rispetto delle norme relative alla rintracciabilità, gli strumenti di raccolta e custodia delle informazioni sono rimessi alle responsabili scelte organizzative degli operatori.

 

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Mercato ortofrutticolo di Molfetta

Alla luce di ciò, gli operatori possono procedere alla conservazione della documentazione contabile (D.D.T. e fatture commerciali), ovvero implementare sistemi informatici che permettano un proficuo scambio di informazioni tra i soggetti obbligati o, ancora, ricorrere a qualsiasi sistema o procedura che consenta di mettere a disposizione delle Autorità ogni informazione necessaria per la rintracciabilità del prodotto (bollini informativi previamente apposti sugli imballaggi o idonee dichiarazioni del soggetto che conferisce la merce etc.).
Tuttavia, dalla interpretazione letterale dell’art. 18 del Regolamento in esame, si evince che non è necessario risalire all’origine del prodotto primario, ma alla semplice individuazione del fornitore.
Dall’altro lato, non è nemmeno indispensabile individuare l’ultimo acquirente, ma il cliente diretto.
Sostanzialmente, al fine di permettere l’individuazione del soggetto che abbia fornito il prodotto, è opportuno che gli operatori del settore agroalimentare dispongano di informazioni che possano dimostrare: 1) il nome ed il recapito del fornitore; 2) le indicazioni relative all’identificazione del prodotto agroalimentare; 3) la quantità dei beni ricevuti; 4) le modalità con le quali è stato ricevuto il prodotto; 5) la data di ricevimento del prodotto.
Per quel che concerne l’individuazione del soggetto al quale è stato fornito il prodotto alimentare, è opportuno documentare: 1) il nome ed il recapito del cliente; 2) le indicazioni relative all’identificazione del prodotto agroalimentare; 3) la quantità dei beni venduti; 4) le modalità con le quali è stato distribuito il prodotto; 5) la data di consegna del prodotto.

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In tale contesto, recentemente, la disciplina sanzionatoria per la violazione delle disposizioni di cui al regolamento UE n. 1169/2011, in materia di fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori, nonché in materia di etichettatura, presentazione e pubblicità degli alimenti, è stata disciplinata dal D. Lgs. n. 231 del 15 dicembre 2017, che ha abrogato la precedente normativa.
In particolare, con riferimento al “lotto” dei prodotti, l’art. 17 del suddetto Decreto Legislativo è chiaro nel ritenere che “Il lotto è determinato dal produttore o dal confezionatore del prodotto alimentare o dal primo venditore stabilito nell'Unione Europea ed è apposto sotto la propria responsabilità; esso figura in ogni caso in modo da essere facilmente visibile, chiaramente leggibile ed indelebile ed è preceduto dalla lettera «L», salvo nel caso in cui sia riportato in modo da essere distinto dalle altre indicazioni di etichettatura”.
Per quanto concerne i prodotti alimentari preimballati, l’indicazione del lotto deve figurare sull'imballaggio preconfezionato o su un'etichetta appostavi; mentre per quanto riguarda i prodotti alimentari non preimballati, l’indicazione del lotto deve figurare sull'imballaggio o sul recipiente o, in mancanza, sui relativi documenti commerciali di vendita.
Pertanto, in ossequio al sopra richiamato principio di “arbitrarietà del mezzo” l’obbligo di fornire documenti attestanti la rintracciabilità dei prodotti viene interpretato in termini di risultato: gli operatori della filiera agroalimentare, prescindendo dalle procedure che sono liberi di adottare, devono fornire alle Autorità competenti, qualora richieste, le informazioni in entrata ed in uscita relativamente ai loro approvvigionamenti, mediante la documentazione attestante i dati sopra indicati.
Le superiori considerazioni sono di carattere generale e rappresentano “la base” di ogni ulteriore ragionamento tecnico-giuridico che gestori ed operatori del settore sono chiamati a compiere, in un campo che pare “minato” da una normativa “grigia” e tutt’altro che omogenea.

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