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Ecco noi riteniamo che i mercati all'ingrosso siano i giusti interlocutori per avviare una graduale ma significativa "educazione del consumatore" non solo nei riguardi di una sempre migliore attenzione nei confronti della sanità e salubrità dei prodotti, ma anche per un sempre maggiore apprezzamento verso la biodiversità e la conoscenza delle produzioni tipiche locali.
Ben venga quindi l'unità d'intenti fra i mercati all'ingrosso e la GDO nei confronti dei consumatori.

 

Cambia il consumatore, 
ma la GDO ha un passo più lento

di Francesco Pugliese, amministratore delegato Conad


Camaleontico forse più per necessità che per scelta di fondo, il consumatore ha cambiato pelle, è maturato, vive un modo nuovo di acquistare e frequentare le insegne della grande distribuzione. Complici crisi e congiuntura, ha fatto la spending review sulla propria pelle, sempre più attento ad acquistare solo ciò che è indispensabile, sempre più alla ricerca di informazioni, prezzi, promozioni, rinunciando talora alla qualità e alla tradizione. 
L’indice Istat del clima di fiducia dei consumatori a maggio torna a scendere rispetto al mese precedente, segno che gli italiani hanno qualche difficoltà a riconoscersi nell’inversione di tendenza della situazione economica del Paese sottolineata da più parti.
Il mercato offre prodotti che hanno ormai smarrito quel prezzo giusto che, invece, dovrebbero avere, mentre la grande distribuzione continua ancora a rincorrere il consumatore puntando sulle promozioni quando, invece, i tempi sarebbero maturi per rivolgersi a target mirati piuttosto che avere a riferimento la massa indistinta di coloro che fanno la spesa.
Già, perché la grande distribuzione non ha seguito il consumatore nel suo percorso di crescita e persevera nella propria distorta visione del mercato. Conad si è data da anni una strategia diversa, focalizzata sulla lealtà e trasparenza nei confronti del consumatore e quindi sulla fiducia. Oggi raccoglie i buoni frutti di tale atteggiamento: i principali indici del bilancio hanno tutti di segno positivo, in controtendenza rispetto al mercato e anche alla contrazione delle vendite della private label. Insomma: se qualcosa non va, è doveroso comunicarlo, perché ne va della capacità stessa di un’impresa della moderna distribuzione di stare sul mercato.
Non è certo un caso se negli ultimi cinque anni hanno chiuso 118 supermercati e non si contano i cambi di insegna; se gli investimenti nel settore sono calati a 2,5 miliardi di euro dai 4 di setti anni fa; se la superficie di vendita è diminuita dello 0,2 per cento.
Aggiungiamo a tutto ciò che le famiglie continuano ad essere in affanno – al 14 per cento il reddito non è sufficiente neppure per l’indispensabile – e il ceto medio, determinante per la crescita del Paese dopo gli anni Ottanta, è stato impoverito oltre misura, diversamente da quanto è accaduto in altri Paesi. Un declino che ha messo in crisi non solo i consumi, ma anche gli investimenti delle aziende. 
Dietro al calo dei consumi non c’è, dunque, solo la crisi economica e il minore potere di acquisto degli italiani. C’è altro e la grande distribuzione deve prenderne atto: guardando, prima di tutto, dentro se stessa.