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All’indomani del workshop di Parma il Prof. Corrado Giacomini pubblicava sul “Corriere ortofrutticolo” una nota dal titolo “Mercati all’ingrosso, tanti progetti interessanti. Ma prima bisogna razionalizzare”.
A questa nota risponde Marco Sibani

Carissimo Professore Corrado Giacomini,
innanzitutto grazie per la partecipazione al workshop “I mercati agroalimentari tedeschi ed italiani insieme per l’innovazione del settore” e soprattutto grazie per l’interessante articolo pubblicato sul Corriere Ortofrutticolo.
Cercherò di rispondere all’ipotesi della chiusura dei molti, forse troppi, mercati all’ingrosso ancora esistenti in Italia.

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Innanzitutto occorre sottolineare che nessuno sa’ quanti sono i mercati in Italia: l’ANDMI con una lunga e faticosissima indagine è riuscita a raccogliere i recapiti di 114 mercato ortofrutticoli, ma occorre tener conto di alcune decine di mercati ittici, oltre ai mercati dei fiori e delle carni.

Proprio per questa assoluta non conoscenza del settore, l’ANDMI ha sollecitato Unioncamere, ANCI, MIPAAFT a costituire un Osservatorio al fine appunto di censire queste strutture, non solo sotto il profilo anagrafico, ma per approfondirne la conoscenza, e renderle più visibili e conoscibili.

In merito alla numerosità occorre tener conto della enorme diversità dei territori italiani (l’Italia dei Comuni ed anche dei campanili) con una eterogeneità di storie, di culture, di consuetudini e, soprattutto, di una biodiversità unica al mondo. Siamo il Paese con il maggior numero di prodotti tipici.

I mercati all’ingrosso contribuiscono a tutelare e valorizzare questo imponente patrimonio, soprattutto per quanto riguarda il prodotto fresco vegetale deperibile.

E’ il commerciante locale che, grazie alla sua intensa professionalità, mantiene un rapporto fiduciario consolidato con il piccolo produttore locale al quale offre quei servizi di base che il produttore singolo non può permettersi, al fine di consentire una corretta commercializzazione del prodotto. E nel contempo fa affluire questi prodotti tipici locali alla rete distributiva tradizionale al dettaglio e all’horeca.

Si viene in tal modo ad instaurare un circolo virtuoso che affianca la GDO la quale è impegnata soprattutto sui grandi volumi di prodotti necessariamente standardizzati.

Ho cercato di schematizzare il quadro al fine di spiegare il perché in Italia quel 37% di consumo di ortofrutta che transita attraverso il mercato all’ingrosso, utilizza una così numerosa e vasta pletora di strutture sparse su tutto il territorio nazionale.

Sicuramente le strutture sono troppe e sicuramente negli anni a venire diminuiranno. E la stessa legge Madia di riforma della pubblica amministrazione ne richiede la diminuzione, attraverso la drastica riduzione delle aziende partecipate.

Ma i primi enti che hanno posto in vendita le loro quote di partecipazione … non hanno trovato acquirenti.

Ecco: questo è il vero problema.

La riduzione o, meglio, la razionalizzazione di questo comparto non può essere fatta con un editto imposto dall’alto.

Come tutte le problematiche che affliggono la nostra economica è opportuno procedere innanzitutto con la conoscenza del fenomeno e, in base a ciò, procedere per quanto possibile attraverso una corretta gestione dell’evento in modo il più possibile indolore.

Ed è quello che propone l’ANDMI in sintonia con gli amici dei mercati tedeschi: avviare un progetto di ammodernamento del comparto nel suo complesso, avvalendosi delle più moderne innovazioni tecnologiche ma soprattutto stimolando un aggiornamento tecnico e culturale di quanti vi operano.

L’Osservatorio MAA 4.0 avrebbe proprio questo compito di incentivazione dei processi innovativi e di monitoraggio della loro graduale diffusione. Quindi non una semplice rilevazione statistica dello stato in cui i mercati si vengono a trovare, ma un “osservatorio dinamico” che dovrebbe monitorare anche l’efficienza dei servizi di mercato e la loro economicità, come peraltro fatto dalla GFI Unione dei Mercati Tedeschi.

Sarebbe questo irrinunciabile processo fortemente innovativo a favorire accorpamenti, selezioni ed anche chiusure di strutture obsolete.

Cercando di evitare, per quanto possibile, rischi eccessivi soprattutto a carico dell’economia dei territori.