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Mercati o Centri Agroalimentari?
a cura di MARCO SIBANI

Alla fine degli anni ’50 del secolo scorso il Comune di Bologna decise di diventare la “vetrina” dei servizi pubblici degli enti locali. Fu impostato uno dei primi piani regolatori urbanistici nel quale veniva  tracciata la grande “tangenziale” nel lato nord (con rispetto della collina nella parte a sud) lungo la quale dovevano venire localizzate le grandi infrastrutture che sarebbero state realizzate nei decenni successivi: aeroporto, fiera, centro ingrosso, centro alimentare, interporto.
In questo contesto culturale fortemente innovativo l’AMMO (Azienda municipalizzata mercato ortofrutticolo), a metà degli anni ’60,  decise di affidare ad una commissione di esperti lo studio per la realizzazione del nuovo mercato. 


La commissione andò negli USA, a Philadelfia, per visitare il locale Food Center, struttura che si inseriva in una economia già allora fortemente avanzata e caratterizzata dalla grande distribuzione che operava con prodotti preconfezionati. 
Da qui il concetto di “Centro alimentare volto a collegare produzione e consumo”, articolato nelle classiche tre aree: mercantile, direzionale, zone annesse per gli insediamenti integrativi (centri di stoccaggio, di confezionamento, piattaforme distributive, ecc.).
Venne costituito anche uno specifico organismo - la SCAB (Società Centro Alimentare di Bologna) – per la progettazione e realizzazione della nuova struttura. 
Purtroppo, come spesso succede, questo nuovo organismo non interagiva con la direzione del mercato ortofrutticolo esistente. E in breve se ne videro i risultati.
Il nuovo progetto – presentato nel 1974 in occasione del “1° convegno I CENTRI ALIMENTARI” al quale parteciparono anche il direttore dell’appena avviato mercato di Parigi Rungis e il Direttore di Mercabarna – venne sonoramente boicottato dalla direzione del mercato ortofrutticolo in quanto troppo innovativo poiché prevedeva già all’epoca le banchine di scarico e carico.
Fu necessario studiare un nuovo progetto, a cui ne seguirà un terzo poi realizzato con i finanziamenti previsti dalla legge 41/86.
Rimase però ferma la nuova denominazione: non più mercato ma “Centro alimentare”.
Con la realizzazione, nei decenni successivi, del Piano mercati di cui alla legge 41/86, la “scuola” di Bologna – forte per i ripetuti studi svolti per il nuovo mercato - divenne un importante punto di riferimento per la progettazione delle nuove strutture e di conseguenza prese piede la dizione “Centro alimentare” o “Centro agroalimentare”, dizione avente appunto lo scopo di evidenziare la discontinuità nei confronti della vecchia struttura grazie alla modernità della nuova. 
Pare giusto però osservare che forse conveniva mantenere il vocabolo “mercato” per non creare confusioni o illazioni o distorsioni. 
Infatti il termine “mercato” esiste da sempre e in tutti i Paesi ed esiste pure il WUWM (World Union Wholesale Markets).
Da noi e in altri Paesi i mercati rientrano fra i servizi pubblici degli enti locali; addirittura la nostra costituzione (art. 117) li cita.
E la stessa legge 41/86 fa riferimento esclusivamente ai “mercati agroalimentari”.
E allora perché cambiare?