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di Dario Salvatore Caccamisi 
Direttore Centro Studi Andmi

L’Italia ha una lunga tradizione agro-alimentare e gastronomica che ha diverse conseguenze importanti. Vorrei ricordare in primo luogo che l’Italia è l’origine della “Dieta Mediterranea”, un insieme di competenze, conoscenze, pratiche e tradizioni che vanno dal paesaggio alla tavola, includendo le colture, la raccolta, la pesca, la conservazione, la trasformazione, la preparazione e, in particolare, il consumo di cibo. La sua notorietà è ampia, come dimostra la foto di un piccolo ristorante nell’aeroporto di Miami, Florida. La Dieta Mediterranea è caratterizzata da un modello nutrizionale rimasto costante nel tempo, costituito principalmente da olio di oliva, cereali, frutta fresca o secca, e verdure, una moderata quantità di pesce, latticini e carne, e molti condimenti e spezie, il tutto accompagnato da vino o infusi, sempre in rispetto delle tradizioni di ogni comunità. Cereali e ortofrutta, che rappresentano la base della Dieta Mediterranea, trovano in Italia un ottimo ambiente di coltivazione, tanto che sono 108 i prodotti a indicazione di origine (Denominazione di Origine Protetta - DOP e Indicazione Geografica Protetta - IGP) italiani che appartengono a questa categoria, che sempre in Italia comprende ben 282 registrazioni, di cui 165 DOP e 117 IGP. Inoltre, l’Italia, insieme alla Spagna, è il principale produttore biologico d’Europa, con 42.456 aziende agricole biologiche per una superficie di 1.387.913 ettari (SINAB, Bio in cifre 2015), pari a 11,2% della SAU nazionale (ISTAT SPA 2013).

 

Nonostante queste positive premesse, l’obesità è in crescita anche in Italia e riguarda un numero sempre maggiore di bambini, che due volte su tre – dicono le statistiche – sono destinati a mantenere la condizione di obesità anche in età adulta. Il numero degli obesi tra la popolazione dai 18 anni in su ha raggiunto, secondo ISTAT, la ragguardevole cifra di 4 milioni e 700mila individui, in base agli ultimi dati disponibili nei prospetti ufficiali, sfiorando in termini relativi un'incidenza di circa il 10 per cento. Inoltre, la difficoltà di espansione della produzione nazionale a fronte del positivo incremento dell’export di prodotti ottenuti da materia prima agricola italiana potrebbe ridurre la disponibilità di tali prodotti per soddisfare la domanda interna: gli italiani consumeranno sempre più prodotti alimentari d’importazione e pagheranno sempre di più i prodotti di qualità italiani, fenomeno, peraltro, che avanza già da diversi anni (Confagricoltura, 2015).

Insomma, nonostante la “Dieta Mediterranea” e la grande quantità di prodotti agro-alimentari di qualità, il futuro mostra alcune incertezze su cui vorrei concentrare questa analisi. Potrei partire notando che anche un sistema agro-alimentare di cospicue dimensioni come quello italiano mostri segni di debolezza di fronte alla globalizzazione dei mercati e dei consumi. Ciò si lega alla crescente complessità degli scenari globalizzati, in cui grandi dimensioni e capacità di comunicazione giocano ruoli essenziali. Le grandi imprese multinazionali hanno grande capacità e semplicità di comunicazione di modelli standardizzati e ben noti, per di più facilmente associabili a chiari prezzi, che li rendono e esportabili, comparabili e accettabili ovunque (l’indice “Big-Mac”, per esempio, è usato per valutare il potere di acquisto delle popolazioni usando la ragione di scambio del panino “Big Mac” di Mc Donald’s attraverso il globo). Non mi sento di dire lo stesso per la “Dieta Mediterranea”, un modello alimentare certamente supremo per noi mediterranei ma non facile da comprendere e accettare da parte di altre culture e oggi esposto alle pressioni competitive dei modelli alimentari globali. Credo che sia anche per questa ragione che a nessun economista sia finora venuto in mente di proporre l’indice “Parmigiano-Reggiano” per valutare la parità d’acquisto tra le nazioni.

Concluderei questa breve introduzione sottolineando la difficoltà che i sistemi agricoli di qualità incontrano per comunicare le positive caratteristiche dei loro prodotti a consumatori naturalmente disinformati e contemporaneamente esposti a semplici, chiari e convincenti messaggi delle multinazionali del cibo. Se le esportazioni italiane di prodotti di qualità crescono in media del 5% annuo, anche le vendite di McDonald’ in Italia fanno segnare interessanti crescite. Per di più, Mc Donald’s è stato sponsor ufficiale di EXPO 2015. Praticamente nella casa della “Dieta Mediterranea”.

Quindi c’è bisogno di comunicare meglio e di più, di incrementare l’efficienza delle filiere. Cedo sia noto a tutti che il “nanismo” della nostra organizzazione agricola, con piccole aziende ma soprattutto una quota ancora insufficiente di cooperative e organizzazioni di produttori, sia noto a tutti, quindi non spenderei ulteriore spazio per commentarlo per concentrami su alcune possibili misure, dedicandomi al ruolo che i mercati all’ingrosso, che chiameremo semplicemente e affettuosamente “mercati”, potrebbero svolgere in questo scenario. Per fare questo, dovrei cominciare osservando che i mercati si trovano in una situazione di debolezza, scavalcati dai protagonisti del cibo globale e, salvo alcune eccezioni (per esempio, Melinda), poco frequentati dai prodotti di qualità (DOP, IGP, biologico). Tuttavia, proprio il ruolo “locale” che i mercati svolgono potrebbe rivelarsi il loro elemento di forza. Cercherò di spiegare come questo possa essere possibile. In primo luogo attraendo le produzioni di qualità dei loro bacini di approvvigionamento che abbiamo bisogno di risposte commerciali e logistiche semplici ed efficaci, offrendo loro la rete di clienti di cui già i mercati dispongono e che, con un appropriato lavoro di ricerca, potrebbe ampliarsi. Potrebbe essere interessante che le direzioni dei mercati e i grossisti lavorassero insieme per promuovere i prodotti di qualità a clienti nuovi. Inoltre, i mercati potrebbero potenziare la comunicazione verso i consumatori. Gli esempi brillanti di programmi di educazione alimentare rivolti alle scuole che già esistono, per esempio a Padova e Bologna, potrebbero essere ampliati all’informazione sulla “Dieta Mediterranea” e sui prodotti agro-alimentari di qualità. Non possiamo aspettarci risultati capaci di sovvertire le tendenze globali, ma una buona organizzazione commerciale insieme a maggiore comunicazione potrebbero dare ai mercati un ruolo oggi in parte inespresso.