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Dr. Valter Vannucci
Direttore del Centro Agroalimentare di Rimini (CAAR)

Il decreto Madia (in corso di approvazione) porterà grandi novità nella Pubblica amministrazione. Tra queste novità vi è una norma che prevede la possibilità per i soci pubblici di una società partecipata, di chiedere il recesso e quindi uscire dalla compagine sociale su semplice richiesta laddove l’attività svolta dalla società partecipata non rientri tra i fini istituzionale dell’ente pubblico che intendere recedere.

Si tratta innanzitutto di un fatto assolutamente nuovo ed eccezionale nel mondo delle società: si dà infatti la possibilità di uscire da un contratto di società tra soci senza che sia più necessario che le quote da questo detenute debbano essere cedute agli altri soci oppure a terzi comunque graditi dai soci che restano. 

 

Questo fatto non solo mina alla base il contratto originario tra soci, ma prevede che la liquidazione delle quote avvenga a carico della Società.  Semplice immaginare le conseguenze che una decisione del genere può portare all’assetto economico e finanziario di una partecipata (dissesto finanziario, indebitamento, liquidazione, impossibilità ad effettuare investimenti, invitabile peggioramento nella gestione dei servizi ecc). Pare a chi scrive che l’intendimento del legislatore sia di assicurare il recupero di risorse finanziarie immobilizzate (magari da tempo) per i soci pubblici (Comuni, Province, Regioni, CCIAA, ecc. ecc.) , ma al tempo stesso di creare un terremoto alla base della società che dovesse subire un fatto del genere.

Con i Piani di razionalizzazione che gli enti pubblici dovevano approvare entro il 31/03/2015, veniva richiesto di fare una analisi delle proprie partecipate e decidere quali fossero quelle da mantenere, da migliorare, da accorpare, ed eventualmente dismettere. Con tale provvedimento gli enti pubblici avrebbero dovuto prendere importanti decisioni in merito al mantenimento di un sistema di società pubbliche che andava inevitabilmente riveduto e corretto . Che una buona parte del disastro economico finanziario della finanza pubblica sia collegato alla gestione delle società pubbliche partecipate non è un mistero, ma una cosa è “razionalizzare un sistema” un’altra cosa è creare gli strumenti normativi per “abbattere” tutte questa società (circa 10.000 in Italia) che già il Commissario Cottarelli aveva analizzato , introducendo misure atte a ridurre le perdite, diminuire i finanziamenti, aumentare i controlli, ecc. ecc. il tutto , ovviamente , per risanare il sistema pubblico.     

Ci si è però dimenticati che le famose società partecipate dal pubblico, normalmente sono realtà che gestiscono servizi e offrono utilità al territorio , attraverso la gestione di infrastrutture allo scopo preordinate. Magari offrendo servizi alle imprese e ai cittadini e consumatori finali.

La norma in questione porterà effetti catastrofici nel sistema delle partecipate, solo che gli Enti pubblici decidano di allontanarsi dalla partecipazione o dalla gestione di queste realtà che per oltre trent’anni hanno rappresentato l’ossatura e il sostegno alle attività economiche dei territori locali.
In buona sostanza visto che non sono riusciti a “razionalizzare il sistema” hanno deciso di abbatterlo : ma hanno scelto  la peggiore modalità ! Buttare via il bambino assieme all’acqua sporca ! Perché di cose buone nel pubblico e nelle società partecipate ancora ce ne sono in Italia, ma non sappiamo ancora per quanto !